venerdì 2 febbraio 2018

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Estratto del libro:


Sai che significato ha questo simbolo?» domandai, anche se io già conoscevo la risposta.
«Non lo so, sono informazioni che ho recuperato su internet, sicuramente sono incomplete, forse sui libri che ti ha dato quella strega troveremo qualcosa in più.» Si sollevò dal letto, era nervoso.
«I demoni ammaliatori sono terreni, questa foglia rappresenta la appunto la terra. Hanno sembianze umane, ciò significa che si mischiano tra noi, dobbiamo stare attenti a chi incontriamo.» Lo indicai, ricordando ciò che avevo letto in uno dei tomi che avevo preso in libreria.
Posai i fogli sul letto e mi sollevai anche io. Tornai a guardare le foto di Tobia, lui mi affiancò, ne osservammo una che lo ritraeva durante una festa insieme ai genitori e a un altro ragazzino.
«I miei genitori si sono separati quando avevo sei anni e ho un fratello. Lui vive in Umbria con mio padre, lei invece insegna a Napoli e non c’è mai, quando torna se ne va con le amiche a giocare a carte. Ha cominciato quando lui se ne è andato di casa e quindi sono sempre solo, mi sono dovuto arrangiare ed è per questo che so cucinare, pulire e stirare» spiegò abbassando la nuca.
Mi sentivo terribilmente in colpa e non solo, perfino molto stupida. La differenza tra me e lui era che io credevo di essere l’unica a soffrire, mi lamentavo sempre e mi fermavo al problema senza andare avanti, mentre lui, nonostante avesse mille problemi, piangeva di rado. Gliel’avrei visto fare poche volte e tutte a causa mia.
«Una perfetta casalinga!» sdrammatizzai io, sfiorandogli la mano.
«Finalmente.» Si voltò verso di me, afferrandola.
«Cosa, Tobia?» Mi avvicinai al suo naso.
«Sorridi» rispose lui toccandolo con il suo.
«Ho poca voglia di farlo.» Mi staccai correndo in salotto.
«Lo so, ti ho visto sorridere solo in qualche occasione: quando guardi Daniele, quando canti e adesso... pure quando vedi me, è un onore, lo sai?»
Colpita e affondata, mi aveva studiato bene.
«Mangiamo, ora, poi ti faccio assaggiare il mio budino al cioccolato.»
Ci sedemmo e ci gustammo le lasagne della madre. C’era un profumo così buono, familiare e, nonostante quello che mi aveva detto dei suoi, quella casa emanava calore, mi sentivo al sicuro.
«Il cibo è ottimo, tutto questo mi ricorda molto mia madre. Mi manca molto.» Mi aprii.
«Cosa è successo alla tua famiglia, se posso?» domandò, mentre mi versava un bicchiere d’acqua.
«Non so se posso raccontartelo... non so di chi posso fidarmi, adesso...» Interruppi ciò che stavo per dire.
«Puoi farlo, te lo sto facendo capire in tutti i modi, ma se non sei ancora pronta, non insisto. Sparecchiamo la tavola.» Decise di cambiare discorso, comprendendo il mio stato d’animo.
Lo aiutai a mettere a posto e guardai l’orologio della cucina: si erano fatte quasi le quattro, era il caso di rientrare a casa, alle cinque avevo gli allenamenti. Afferrai il cappotto rosso e lo zaino.
«Sicura che non vuoi che ti vengano a prendere o che ti riaccompagni io?» Si preoccupava sempre per me.
«Sicura, abito a due passi da qui, prendo l’autobus.» Mi vestii. «Bene, ti ringrazio per il pranzo.» Mi avvicinai alla porta.
«Grazie a te.» Mi accompagnò.
«Per cosa?» domandai aprendo l’ingresso.
«Di aver mangiato con me, sono sempre solo.» I suoi occhi si fecero tristi.
Non volevo andarmene. Più tempo trascorrevo con lui, più si faceva difficile staccarmene. «Potremmo farlo più spesso, se vuoi!» azzardai io.
«Allora, vostra signoria, sono entrato nelle sue grazie?» disse lui sdrammatizzando.

Morsi le labbra, cercando di trattenere un sorriso. «Ok, vado via, prima che la cosa degeneri!» Gli voltai le spalle, attraversai lo stipite della porta, la chiusi e corsi via.




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