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Estratto del libro:
Sai che
significato ha questo simbolo?» domandai, anche se io già conoscevo la
risposta.
«Non lo
so, sono informazioni che ho recuperato su internet, sicuramente sono
incomplete, forse sui libri che ti ha dato quella strega troveremo qualcosa in
più.» Si sollevò dal letto, era nervoso.
«I demoni
ammaliatori sono terreni, questa foglia rappresenta la appunto la terra. Hanno
sembianze umane, ciò significa che si mischiano tra noi, dobbiamo stare attenti
a chi incontriamo.» Lo indicai, ricordando ciò che avevo letto in uno dei tomi
che avevo preso in libreria.
Posai i
fogli sul letto e mi sollevai anche io. Tornai a guardare le foto di Tobia, lui
mi affiancò, ne osservammo una che lo ritraeva durante una festa insieme ai
genitori e a un altro ragazzino.
«I miei
genitori si sono separati quando avevo sei anni e ho un fratello. Lui vive in
Umbria con mio padre, lei invece insegna a Napoli e non c’è mai, quando torna
se ne va con le amiche a giocare a carte. Ha cominciato quando lui se ne è
andato di casa e quindi sono sempre solo, mi sono dovuto arrangiare ed è per
questo che so cucinare, pulire e stirare» spiegò abbassando la nuca.
Mi
sentivo terribilmente in colpa e non solo, perfino molto stupida. La differenza
tra me e lui era che io credevo di essere l’unica a soffrire, mi lamentavo
sempre e mi fermavo al problema senza andare avanti, mentre lui, nonostante
avesse mille problemi, piangeva di rado. Gliel’avrei visto fare poche volte e
tutte a causa mia.
«Una
perfetta casalinga!» sdrammatizzai io, sfiorandogli la mano.
«Finalmente.»
Si voltò verso di me, afferrandola.
«Cosa,
Tobia?» Mi avvicinai al suo naso.
«Sorridi»
rispose lui toccandolo con il suo.
«Ho poca voglia
di farlo.» Mi staccai correndo in salotto.
«Lo so,
ti ho visto sorridere solo in qualche occasione: quando guardi Daniele, quando
canti e adesso... pure quando vedi me, è un onore, lo sai?»
Colpita e
affondata, mi aveva studiato bene.
«Mangiamo,
ora, poi ti faccio assaggiare il mio budino al cioccolato.»
Ci
sedemmo e ci gustammo le lasagne della madre. C’era un profumo così buono,
familiare e, nonostante quello che mi aveva detto dei suoi, quella casa emanava
calore, mi sentivo al sicuro.
«Il cibo
è ottimo, tutto questo mi ricorda molto mia madre. Mi manca molto.» Mi aprii.
«Cosa è
successo alla tua famiglia, se posso?» domandò, mentre mi versava un bicchiere
d’acqua.
«Non so
se posso raccontartelo... non so di chi posso fidarmi, adesso...» Interruppi
ciò che stavo per dire.
«Puoi
farlo, te lo sto facendo capire in tutti i modi, ma se non sei ancora pronta,
non insisto. Sparecchiamo la tavola.» Decise di cambiare discorso, comprendendo
il mio stato d’animo.
Lo aiutai
a mettere a posto e guardai l’orologio della cucina: si erano fatte quasi le
quattro, era il caso di rientrare a casa, alle cinque avevo gli allenamenti.
Afferrai il cappotto rosso e lo zaino.
«Sicura
che non vuoi che ti vengano a prendere o che ti riaccompagni io?» Si
preoccupava sempre per me.
«Sicura,
abito a due passi da qui, prendo l’autobus.» Mi vestii. «Bene, ti ringrazio per
il pranzo.» Mi avvicinai alla porta.
«Grazie a
te.» Mi accompagnò.
«Per
cosa?» domandai aprendo l’ingresso.
«Di aver
mangiato con me, sono sempre solo.» I suoi occhi si fecero tristi.
Non
volevo andarmene. Più tempo trascorrevo con lui, più si faceva difficile
staccarmene. «Potremmo farlo più spesso, se vuoi!» azzardai io.
«Allora,
vostra signoria, sono entrato nelle sue grazie?» disse lui sdrammatizzando.
Morsi le
labbra, cercando di trattenere un sorriso. «Ok, vado via, prima che la cosa
degeneri!» Gli voltai le spalle, attraversai lo stipite della porta, la chiusi
e corsi via.
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