Illustrazione di Francesca Cesari |
Oggi vi presentiamo William, ispirato a proprio a "quel" personaggio tanto amato ed odiato di Buffy l'ammazza i vampiri, anche se il suo personaggio è molto, molto diverso.
Ecco a voi William...
#Nome William/Adam
#Età indefinita
#professione Vampiro e... e no non ve lo diciamo!
#Biografia
Vi regaliamo un piccolo passo che racconta la sua storia:
Adam, così decisero di
chiamarlo la prima volta. Si, perché quella fu la prima di una lunga serie di
vite giunte a termine solo nel ventunesimo secolo. Giaceva a terra, in
ginocchio, il suo sguardo era rivolto verso le mani sanguinanti, le gocce di
sudore si confondevano con quelle delle incessanti lacrime che sgorgavano dai
suoi occhi color cielo. Respirava a fatica, tremava, puzzava di morte, non
riusciva ancora a credere che ciò che era appena accaduto fosse opera sua. Era
giovane e, nonostante gli uomini in principio fossero allo stato brado, la sua
famiglia lo aveva istruito bene: uccidere solo per sopravvivere alla fame e
solo piccole bestie destinate a morire pochi anni dopo la nascita. Aveva sempre
rispettato le regole, fin quando la sua famiglia non fu colpita da una
malattia, oggi conosciuta come lebbra, che la portò via in pochissimi giorni.
Era il più piccolo di quattro fratelli e non aveva mai cacciato prima, lo
avevano sempre fatto gli altri componenti, non sapeva come cominciare, aveva
sempre fatto compagnia alla madre in grotta, in attesa che gli adulti
tornassero a casa con le ambite prede. La donna era stata l’ultima a morire,
aveva inciso su una pietra piatta una stella con al centro una fiamma e gliel’aveva
donata in punto di morte.
La vita in quella
grotta, che per lui sapeva ancora di famiglia, era fatta di rigide gerarchie e
regole ferree, ma dentro la sua testa le domande si affollavano come una
mandria impazzita, in fuga dai predatori; perché si nasceva, perché si respirava,
perché si moriva? Era una cascata di interrogativi mortificati dalla presenza
incessante della sua famiglia, ma che nessuno poteva più arginare.
Si era chiuso in un
limbo che lo aveva quasi portato alla pazzia. Aveva deciso di andar via da quel
posto e avventurarsi oltre quelle colline che lui per molto tempo aveva chiamato”
casa”. Erano stati giorni duri, in cui aveva affrontato anche la fame: in
principio, si era nutrito con erbe e frutti selvatici. Durante una sosta aveva
notato una donna che correva, si era reso conto che stava cacciando. Pensò che
da lei avrebbe potuto imparare molto, così, per alcuni giorni, di nascosto, aveva
studiato le sue mosse, ma, nonostante i suoi tentativi di imitarla, le sue
prede scappavano sempre.
Erano trascorsi i
giorni, erba e frutta scarseggiavano, aveva fame e doveva trovare il modo di
nutrirsi. Quella maledetta mattina, come quelle precedenti, aveva deciso di
seguirla, sperando di poter imparare mosse nuove per catturare qualche animale,
ma, di nuovo, non aveva ottenuto nessun risultato. Aveva gridato per
disperazione e la donna era comparsa da un groviglio di rami secchi, sfoggiando
sulle forti spalle un cucciolo di renna. In Adam era cresciuto qualcosa di mai
conosciuto: un bruciore nato dallo stomaco gli aveva toccato i cardini della
testa, le tempie avevano iniziato a battere ribelli, la sua vista si era
annebbiata, intorno a lui si era fatto silenzio, i muscoli si erano contratti e
il suo istinto animale aveva preso il sopravvento.
Adesso era
inginocchiato, stava provando un nuovo sentimento: il senso di colpa. Spostò l’attenzione
sul corpo della donna: giaceva a terra privo di vita, accanto a quello della
renna che, a fatica, respirava ancora. Si era calmato dopo quello scatto, in cui
si era gettato sopra di lei colpendola con la selce una, due, tre, quattro e
cinque volte, fino a quando il cuore della stessa non aveva cessato di battere.
Aveva tradito le regole della famiglia e adesso si sentiva a disagio.
Si lasciò cadere a
terra, sperando che la sua vita cessasse velocemente, ma essa non era destinata
a compiersi, non ancora. Passarono alcuni giorni: di fame, di sete, di freddo e
di caldo, ma il suo corpo sembrava non voler cedere. Improvvisamente sentì una
mano posarsi sul volto, era fredda e bagnata, come se qualcuno lo stesse
lavando; si spostò sulla fronte, per poi finire sopra la nuca. Adam provò per
un istante un piccolo sollievo. Lentamente riaprì gli occhi e il sorriso di una
donna allietò il suo risveglio. Aveva uno sguardo dolce e buono, ma la sua
corporatura era forte e robusta. Sulle spalle indossava una sacca, dalla quale
si intravedeva la punta di alcune frecce. Doveva essere una guerriera. Gettò a
terra la pelle con la quale lo aveva pulito e lo aiutò a sollevarsi.
Il suo nome era Bukola.
Lo condusse in un piccolo villaggio lì vicino, la gente del posto accolse la
donna come se fosse una divinità, al suo arrivo si chinarono tutti e gli
sguardi erano sopra l’uomo, il quale fece di quel luogo la sua casa, per molti
anni. In seguito scoprì che la donna era così venerata a causa dei suoi poteri
magici: era la shamana della comunità e praticava magia da anni. Adam pensò che
tutte le sue domande potessero trovare risposta attraverso le arti magiche, così,
quello che prima era un semplice interesse, si tramutò in ossessione: voleva
avere il controllo sul passato, sul presente e sul futuro. Con il trascorrere
del tempo, cercò di cogliere ogni insegnamento e ogni formula magica dalla
shamana, fin quando, una notte d’inverno, dopo aver preso il necessario dalla
tenda della donna, si allontanò dal villaggio, correndo verso il bosco. Appena
fu lontano dalle luci della comunità, si inchinò a terra disegnandovi un
Triskele (tre spirali intrecciate) e pronunciando una formula di cui non si
conoscono i dettagli, ma l’incantesimo non funzionò. Il giorno sembrò arrivare
in un istante, ma il sole era tramontato da poco; questo disorientò Adam e, poi,
quella luce era strana. Si voltò e, alle sue spalle, c’era ancora la notte.
Cominciò a correre verso l’oscurità, ma il bagliore sembrava volesse seguirlo. Si
arrese voltandosi ancora e, davanti ai suoi occhi, comparve uno scettro fatto
di legno di ciliegio con un rubino rosso alla sommità. Assunse una forma umana
e quella sagoma aizzò lo scettro verso il cielo; due nuvole si aprirono
attraversate da un raggio di sole che toccò la terra, formandovi un cerchio dal
quale si materializzarono tre cancelli: uno rosso, uno nero e uno azzurro. Una
forza incomprensibile gli impediva la fuga attirandolo lentamente verso il
cancello rosso; sentì il corpo divenire una torcia e il penetrante odore di
pelo bruciato raggiunse le sue narici. Le fiamme lo avvolsero, lasciando di lui
solo un grido spezzato di disperazione.
Nessun commento:
Posta un commento